09/04/2023
CHRISTUS
VINCIT!
PER TE, CARO ATEO
"Caro"? L'aggettivo può essere motivo di meraviglia per i lettori che, attraverso gli articoli della "Folha de S. Paulo" oppure attraverso altri mezzi, da decenni mi vedono combattere l'ateismo, particolarmente nella forma più espansivamente imperialistica che abbia assunto nel corso della storia, cioè l'ateismo marxista. "Caro": come giustificare, allora, l'aggettivo qualificativo? Mi spiego.
Dio vuole la salvezza di tutti: dei buoni, perché ricevano in cielo il premio dei loro meriti; dei cattivi, perché, toccati dalla grazia, si emendino e ottengano il cielo. In prospettive e a titoli diversi, gli uni e gli altri sono, perciò, cari a Dio. Come possono, allora, non esserli al cattolico? (...)
L'espressione "caro ateo" è, dunque, valida. E comporta persino significati sfumati. Infatti, l'ateismo presenta sfumature. A ciascuna di esse corrisponde, naturalmente, un significato specifico dell'aggettivo "caro". Così, vi sono atei che gioiscono della convinzione secondo cui "Dio non esiste". Al punto tale che, se qualche fatto evidente - per esempio, un miracolo clamoroso - li convincesse del contrario, potrebbe tranquillamente accadere che cominciassero a odiare a Dio, e, se fosse possibile, persino a ucciderlo.
Altri atei sono a tal punto impantanati nelle cose della terra, che il loro ateismo non consiste nel negare che Dio esista, ma nel disinteressarsi completamente dell'argomento. Se è chiara la distinzione, non sono "atei" nel senso più radicale e, peraltro, corrente della parola, ma "a-tei", ossia "laicisti". Concepiscono la vita e il mondo senza Dio. Nel caso si provasse loro che Dio esiste, vedrebbero in lui un essere "con il quale o senza il quale il mondo va tale quale". La loro reazione consisterebbe nel decretare contro di Lui un totale e perpetuo bando dagli affari terreni.
Ma vi è un terzo genere di atei. A esso appartengono quanti, afflitti dalle fatiche e dalle delusioni della vita, e vedendo giustamente, per amara esperienza personale, che le cose di questa terra non sono altro che "vanità e afflizione di spirito" (Eccle. 1,14), gradirebbero che Dio esistesse. Ma, urtando contro i sofismi dell'ateismo, ai quali un tempo hanno aperto l'anima, paralizzati dalle abitudini mentali razionalistiche alle quali hanno ancorato la mente, ora avanzano a tentoni nelle tenebre, senza riuscire a trovare il Dio che un tempo hanno rifiutato. Quando medito sull'apostrofe di Gesù Cristo: "Venite a me voi tutti, che siete affaticati e oppressi e io vi consolerò" (Mt. 11, 28), penso in modo più particolare a questo tipo di atei; e mi viene voglia in modo più particolare di chiamarli "cari atei".
Ecco spiegato quali sono gli atei ai quali particolarmente dirigo queste riflessioni.
Tuttavia non tengo presenti solamente loro, ma altri lettori, e altri ancora, e molto più specialmente cari. Cioè, alcuni fratelli nella fede cattolica, membri come me del corpo mistico di Nostro Signore Gesù Cristo, che, avendo letto il riferimento da me fatto alla spiritualità di san Luigi Maria Grignion di Montfort, nell'articolo "Ritorno alla torre di Babele?", hanno desiderato che dicessi qualcosa di più sull'argomento attraverso le colonne della "Folha de S. Paulo".
Scrivo, dunque, questo articolo per questi ultimi. Ma con gli occhi rivolti ai primi. Lo faccio su questo giornale, così coerente con i principi di libertà di pensiero che professa, da dare con comprensione uno spazio a me - che certamente non sono un liberale! - perché in questo spazio io dica ciò che mi pare. Pensando ai miei articoli, inseriti tra tanti altri di indirizzo assolutamente opposto, mi sembra di vedere la "Folha de S. Paulo" rivolta al pubblico e stringendo in pugno uno stendardo - non certo lo stendardo rosso con il leone della TFP! -, sul quale si possono leggere queste parole di Voltaire, ultra-liberali e pure esemplarmente logiche nella prospettiva liberale: "Non concordo con una sola parola di quanto dite, ma difenderò fino alla morte il vostro diritto di dirle".
Questo è pluralismo coerente. Vi sono agli antipodi tanti giornali brasiliani che, a parole, si vantano del loro pluralismo, ma rifiutano il sia pur minimo spazio a un'informazione - e persino a una piccola notizia - relativa a movimenti antipluralistici. Come se il pluralismo fosse assurdamente non pluralistico, e non consistesse nella libertà di dissentire. Si direbbe persino che, in tali giornali, vi sia un ufficio politico posto a spazzare dalla pubblicità il pensiero "eretico" antipluralistico.
Come sarebbe più autentica, più valida dal punto di vista intellettuale e di più ampio respiro la democrazia brasiliana, se tanti giornali brasiliani seguissero la linea di azione enunciata in quella frase di Voltaire!
Parlo ora agli atei particolarmente cari, nella speranza di toccare a fondo la loro anima, nello stesso testo in cui parlo ai miei carissimi fratelli nella fede.
Immaginati, caro ateo, in uno di quegli intervalli della vita quotidiana di un tempo, nella quiete dei quali salivano alla superficie dello spirito le impressioni piacevoli e profonde che l'impegno del giorno, carico della polvere della vita comune e del sudore dello sforzo, aveva soffocato nel subconscio. Erano i lunghi momenti di riposo, nei quali le nostalgie di un passato gioioso, il fascino e le speranze del presente duro ma luminoso, e le fantasie tante volte perfide si trasformavano in una gradevole canzone per distendere l'anima "tranquillamente (...), in quell'incanto dell'anima, lieto e cieco, che la fortuna non permette che duri molto" (Luis de Camões, "I Lusiadi", trad. it., 2a. ed., con introduzione riveduta e ampliata a cura di Silvio Pellegrini, UTET, Torino 1966, canto terzo, stanza 120, p. 104).
Negli odierni e ristretti momenti di riposo, invece, viene alla superficie la sarabanda nevrotica delle delusioni, delle preoccupazioni, delle ambizioni scomposte e degli esaurimenti estremi. E su questa sarabanda plana una domanda nascosta, plumbea, oscura: perché vivere?
Chiudo questo articolo sotto il segno di questa domanda. Al prossimo, caro ateo.
Plinio Corrêa de Oliveira - "Folha de S. Paulo" 31-8-1980
(continua)
La gioia di servire
Ritorno a bussare alla tua porta, caro ateo. Nel mio ultimo articolo ti ho immaginato pensieroso, depresso, a proposito dell'argomento "se vale la pena di vivere". Immaginati, quindi, che al tuo spirito percosso dalla vita, incallito o persino piagato e febbricitante, appaia una figura di quelle sognate dalla tua innocenza infantile già morta da tanti anni; una regina tutta maestà e sorriso che, per aiutarti, ti conduce per mano tra i raggi della luce iridata, pacificante e radiosa che la circonda, in un'atmosfera talmente pura che sembra olezzare di tutti i profumi della natura: fiori, incenso e quant'altro. E tu, caro ateo, che ti lasci attirare. Cammini fissando questa figura ancor più bella delle luci che la circondano, e più odorosa dei profumi che esala. Doni magnifici che ella riceve da un fuoco invisibile ma sovrano, con il quale non si confonde, ma che in ella traspare.
Le tue amarezze vanno dimenticate. Senti quanto vi è di fatuo nella loro confusione. Capisci che, incommensurabilmente oltre la sfera del quotidiano, nel quale esse impazzano e pullulano, vi è un ordine dell'essere eccelso e tranquillo, dove infine potrai entrare. Ti rendi conto che soltanto in esso troverai quella felicità che cercavi tra i vermi, ma che, in realtà, abita oltre le stelle.
Fissi sempre di più la Signora, e ti sembra di averla già conosciuta.
Cerchi nella sua fisionomia qualcosa che ti pare profondamente familiare.
In un che dello sguardo, in una certa particolare nota di affetto nel sorriso, in qualcosa della sicurezza che irradia, ricca di sottintese espressioni di affetto, riconosci certi bagliori spirituali ineffabili che vedevi nei più generosi slanci spirituali della madre terrena che hai avuto, oppure che - a causa delle innumerevoli forme di orfanità, nel mondo attuale - della madre che avresti voluto.
Fissi lo sguardo, e vedi ancora di più. Non soltanto una madre, la tua, ma qualcuno - Qualcuno - che rappresenta la quintessenza ineffabile, la sintesi amplissima di tutte le madri che sono esistite, che esistono e che esisteranno; di tutte le virtù materne che l'intelligenza e il cuore dell'uomo potrebbero conoscere. Più ancora, vedi quei gradi di virtù che soltanto i santi sanno trovare, e ai quali soltanto loro sanno accostarsi, volando sulle ali della grazia e dell'eroismo. È la madre di tutti i figli e di tutte le madri. È la madre di tutti gli uomini. È la madre dell'Uomo. Sì, dell'Uomo-Dio, del Dio che si è fatto Uomo nel seno verginale di questa Madre, per riscattare tutti gli uomini. È una Madre che si descrive con una parola - il mare -, che, a sua volta, dà origine a un nome. Un nome che è un cielo: è Maria.
Attraverso di Lei ti vengono, dal sole divino, che è infinitamente superiore, ma che in Lei sembra abitare - come i raggi di un sole sembrano risiedere nelle vetrate -, ti vengono, dico, tutte le grazie, tutti i favori. Implori, e ti senti esaudito. Desideri, e ti vedi appagato. Dalla profondità della pace che comincia a toccarti e a circondarti, senti nascere una forma di felicità che è l'opposto radioso di quella che, fino a poco fa, cercavi freneticamente. Quella felicità terrena, se la possedevi, finivi per buttarla da parte, invecchiato, "blasé", simile al bambino che getta via i giocattoli che ormai non lo distraggono più.
Nell'egoista frustrato che sei stato, comincia a sorgere, come un giglio che nascesse dal pantano oppure una fonte in un arenile desertico, qualcosa di nuovo. È l'amore. Non l'egoismo, che è l'amore esclusivistico di te stesso. Ma l'amore dei principi eterni, degli ideali folgoranti, delle cause elevate e senza macchia, che vedi risplendere nella Dama ineffabile, e che cominci a volere servire.
Servire, dedicare te stesso, immolare te stesso e tutto quel che ti appartiene, ecco il nome della tua nuova felicità. Questa felicità la trovi in tutto quanto evitavi: la dedizione non ricompensata, la buona volontà incompresa, la logica derisa da ipocriti oppure ignorata da sordi volontari, il confronto con la calunnia che ora ulula come un uragano, ora agita discreti sonagli come un serpente, ora, infine, mente come una brezza tiepida e carica di miasmi fatali. Ora la tua gioia consiste nel resistere a tanta infamia, nell'avanzare, nel vincere benché ferito, rifiutato, ignorato. Tutto per il servizio della Signora "ravvolta nel sole, e la luna sotto i suoi piedi, e sul suo capo una corona di dodici stelle" (Ap. 12, I). Al suo servizio, sì, e di quanti la seguono.
Pensavi che la felicità stesse nell'avere tutto. Verifichi ora che, al contrario, consiste nel darti completamente.
Ti spaventa, forse, il timore che io stia sognando e che ti stia facendo sognare con queste righe che, eventualmente, la tua benevolenza avrà immaginato sapide. Orbene, non sogno, non ti faccio sognare e non sono splendenti le righe che hai letto. Come sono smorzate, invece, a confronto con il libro che ho citato nell'articolo "Ritorno alla torre di Babele?", cioè il "Trattato della vera devozione a Maria", di san Luigi Maria Grignion di Montfort! In esso, il famoso missionario della fine del secolo XVII e dell'inizio del secolo XVIII - i cui seguaci furono gli "chouan", eroi della lotta contro la Rivoluzione francese atea e ugualitaria, della fine dello stesso secolo XVIII - ha fondato, basandosi sulle più solide verità della fede, e attraverso un modo di ragionare impeccabilmente logico, il profilo della santità di Maria. Egli ha analizzato a fondo il significato della sua maternità verginale, la sua parte nella redenzione del genere umano, la sua posizione come regina del cielo e della terra, come corredentrice degli uomini e come mediatrice universale delle grazie che ci vengono da Dio.
Come anche delle preghiere dell'umanità sofferente a Dio onnipotente. Il santo analizza, alla luce di tutto questo, la provvidenza di Maria, e come questa provvidenza abbia a tale punto amorosamente in vista ogni uomo, che la Madre dell'Uomo-Dio ama ciascuno di noi con un amore maggiore di quello con cui tutte le madri del mondo amerebbero il loro unico figlio.
Ho deciso di scriverti, per attirarti a considerare questi grandi tesori, questi grandi pensieri e queste grandi verità. Nello stesso tempo, soddisfo il desiderio di diversi fratelli nella fede, che desiderano solamente averti in mezzo a loro, ben vicino... a Lei.
Se è piaciuto alla grazia benedire le mie parole, hai sentito in te qualcosa come una musica lontana, a tale punto consonante con te, con le tue aspirazioni più vive, che si direbbe che è stata composta per te. E che, da parte tua, hai, o sei, una sete di armonia, sei nato per darti a essa.
In una parola, sei ordinato a lei, e senza di lei sei soltanto disordine.
E se, nella grande armonia dell'universo, persino il più insignificante granello di sabbia, la più anonima goccia di acqua, oppure l'ultimo e il più attorcigliato verme della terra ha il suo posto e la sua funzione, non coinciderà con questo ordine dell'universo - o, piuttosto, con i suoi pinnacoli più alti - l'insieme di verità che ti ho appena presentato attraverso metafore, e che san Luigi Maria Grignion di Montfort deduce, con la più sana e rigorosa coerenza, dalla fede cattolica, da quella fede che, dal canto suo, san Paolo ha definito come "culto ragionevole" ("rationabile obsequium" - Rom. 12, 1)?
Se tutto questo panorama che ti ordina, e senza il quale sei soltanto caos, è falso, allora nell'universo, esso stesso così sommamente ordinato, tu sei - ogni uomo lo è - un essere fuori posto, sconnesso, perdonami il tono prosaico, ma sei - e ogni uomo lo è - un'escrescenza, una verruca, un cancro, una catastrofe. Prima tu; poi noi, poi tutti gli uomini, che, in quanto uomini, siamo tuttavia il vertice regale di questo ordine!...
Credere che le cose stiano così, credere in una così mostruosa contraddizione posta al vertice stesso di un ordine tanto perfetto, questo è certamente irrazionale. Costituisce l'apoteosi dell'assurdo.
Plinio Corrêa de Oliveira - "Folha de S. Paulo" 13-9-1980
(continua)
Ubbidire per essere libero
No, caro ateo. Facendo un'eco lontana alle parole del vescovo san Remigio in occasione del battesimo di Clodoveo, primo re cristiano dei franchi, ti dico: "Brucia ciò che hai adorato e adora ciò che hai bruciato". Sì, brucia l'egoismo, il dubbio, l'apatia, e, mosso dall'amore di Dio, ama, servi e lotta per la fede, per la Chiesa e per la Civiltà Cristiana.
Sacrificati. Rinuncia.
Come? Come lo hanno fatto, in tutti i secoli, quelli che hanno combattuto per Gesù Cristo la "buona battaglia" (2 Tim. 4,7). E lo farai in modo molto segnalato se seguirai il metodo definito e fondato da san Luigi Maria Grignion di Montfort. Si tratta della "schiavitù d'amore" alla Vergine Santissima.
"Schiavitù"... Parola dura e insolita, soprattutto per le orecchie moderne, abituate a sentire parlare, in ogni momento, di disalienazione, di liberazione, e sempre più propense a una grande anarchia, che, come uno scheletro con la falce in mano, sembra ridere sinistramente agli uomini, dalla soglia della porta di uscita del secolo XX, dove li aspetta.
Ora, vi è una schiavitù che libera, e vi è una libertà che schiavizza.
Dell'uomo che adempiva ai suoi obblighi si diceva un tempo che era "schiavo del dovere". Di fatto, era un uomo posto al vertice della sua libertà, che comprendeva con un atto tutto personale le vie che doveva percorrere, decideva con forza virile di percorrerle, e vinceva l'assalto delle passioni disordinate, che tentavano di accecarlo, di rammollirne la volontà e di sbarrargli il cammino liberamente scelto. L'uomo che, ottenuta questa suprema vittoria, proseguiva con passo fermo nella direzione dovuta, era libero.
"Schiavo" era, al contrario, chi si lasciava trascinare dalle passioni sregolate, in una direzione che la sua ragione non approvava, né la sua volontà aveva scelto. Questi autentici vinti venivano chiamati "schiavi del vizio". Si erano, per schiavitù al vizio, "liberati" dal sano imperio della ragione.
Leone XIII ha esposto questi concetti di libertà e di servitù, con la brillante maestria che gli è propria, nell'enciclica "Libertas" (del 20-6-1888).
Oggi si è rovesciato tutto. Come tipo dell'uomo "libero" si considera l'hippie con il fiore in pugno, che girovaga senza fissa dimora e senza meta, oppure l'hippie che, con una bomba in mano, semina il terrore a suo piacimento. Al contrario, si considera come legato, come uomo non libero chi vive nell'ubbidienza alle leggi di Dio e degli uomini.
Nella prospettiva attuale, è "libero" l'uomo che la legge autorizza a comperare le droghe che vuole, a usarle come gli pare, e infine... a diventarne schiavo. Ed è tirannica, schiavizzante, la legge che vieta all'uomo di diventare schiavo della droga.
Sempre in questa strabica prospettiva, fatta di inversione di valori, è considerato schiavizzante il voto religioso mediante il quale, in piena coscienza e libertà, il frate si dedica, rinunciando a qualsiasi ripiegamento, al servizio, pieno di abnegazione, dei più alti ideali cristiani. Per proteggere questa libera decisione contro la tirannia della propria debolezza, il frate si assoggetta, con questo atto, alla autorità di superiori vigilanti. Chi si lega così, per conservarsi libero dalle sue cattive passioni, è oggi soggetto ad essere qualificato come un vile schiavo.
Come se il superiore gli imponesse un giogo che limitasse la sua volontà... quando, al contrario, il superiore serve da guida per le anime elevate che aspirano, liberamente e coraggiosamente - senza cedere alla pericolosa vertigine delle altezze -, a salire fino in cima alle scale dei supremi ideali.
Insomma, per gli uni è libero chi, con la ragione obnubilata e la volontà spezzata, spinto dalla follia dei sensi, ha la possibilità di scivolare voluttuosamente sulla slitta dei cattivi costumi. Ed è "schiavo" chi si piega alla propria ragione, vince con forza di volontà le proprie passioni, ubbidisce alle leggi divine e umane, e mette in pratica l'ordine.
Soprattutto è "schiavo", in questa prospettiva, chi, per garantire più completamente la propria libertà, sceglie liberamente di sottomettersi ad autorità che lo guidino verso la meta alla quale vuole giungere. A questo punto ci porta l'attuale atmosfera, impregnata di freudismo!
San Luigi Maria Grignion di Montfort ha pensato la "schiavitù d'amore" alla Madonna in un'altra prospettiva, adatta a tutte le età e a tutti gli stati di vita: laici, sacerdoti, religiosi, ecc.
Cosa fa la parola "amore" coniugata alla parola "schiavitù" in un modo che sorprende, dal momento che quest'ultima significa imperio brutalmente imposto dal forte al debole, dall'egoista al misero che sfrutta? In buona filosofia, "amore" è l'atto con il quale la volontà vuole liberamente qualcosa. Così, anche nel linguaggio corrente, "volere" e "amare" sono parole utilizzabili nello stesso senso. "Schiavitù d'amore" è il nobile vertice dell'atto con cui qualcuno si dà liberamente a un ideale, a una causa. Oppure, talora, si lega a un altro.
L'affetto sacro e i doveri del matrimonio hanno qualcosa che vincola, che lega, che nobilita. In spagnolo, le manette si chiamano "esposas", cioè "spose". La metafora ci fa sorridere, e può fare rabbrividire i divorzisti. Allude, infatti, alla indissolubilità. In portoghese, e in italiano, si parla di "vincolo" matrimoniale.
Più vincolante dello stato matrimoniale è quello sacerdotale. E, in un certo senso, lo è ancora di più quello religioso. Quanto più alto è lo stato liberamente scelto, tanto più forte è il vincolo, e tanto più autentica la libertà.
Così, san Luigi Maria propone che il fedele si consacri liberamente come "schiavo d'amore" alla santissima Vergine, donandole il suo corpo e la sua anima, i suoi beni interiori ed esterni, e anche, persino, il valore delle sue buone opere passate, presenti e future, affinché la Madonna ne disponga, per la maggior gloria di Dio, nel tempo e nell'eternità (Cfr. San Luigi Maria Grignion di Montfort, "Consacrazione di se stesso a Gesù Cristo, Sapienza incarnata, per le mani di Maria"). La Madonna, come Madre eccelsa, ottiene in cambio, per il suo "schiavo d'amore", le grazie divine che elevano le sue operazioni intellettuali fino a una comprensione lucidissima dei più alti temi della fede, che danno agli atti della sua volontà una forza angelica per salire liberamente fino a questi ideali, e per vincere tutti gli ostacoli interiori ed esterni, che ad essi indebitamente si oppongono.
Ma - chiederà qualcuno - come potrà praticare questa diafana e angelica libertà un frate, già soggetto con voto all'autorità di un superiore?
Niente di più facile. Si è frate per chiamata, o "vocazione", di Dio, perciò il religioso ubbidisce ai suoi superiori per volontà di Dio. La volontà di Dio è volontà della Madonna. E così, qualora il religioso si sia consacrato come "schiavo d'amore" alla Madonna, ubbidisce al proprio superiore in quanto schiavo di lei. La voce di questo è per lui, sulla terra, come la voce stessa della Madonna.
Chiamando tutti gli uomini alle vette di libertà della "schiavitù di amore", san Luigi Maria lo fa in termini così prudenti da lasciare libero il campo per importanti sfumature. La sua "schiavitù d'amore", così piena di particolare significato per le persone legate con voto allo stato religioso, può essere ugualmente praticata da sacerdoti secolari e da laici. Infatti, contrariamente ai voti religiosi, che obbligano per un certo tempo oppure per tutta la vita, lo "schiavo d'amore", può lasciare in qualsiasi momento questa elevatissima condizione, senza "ipso facto" commettere peccato. E, mentre il religioso che disubbidisce alla sua regola incorre in peccato, il laico "schiavo d'amore" non commette nessun peccato per il semplice fatto di contraddire in qualcosa la generosità totale del dono che ha fatto.
Ciò posto, il laico si mantiene in questa condizione di schiavo con un atto libero, implicitamente o esplicitamente ripetuto ogni giorno. O meglio, in ogni istante. Per tutti i fedeli, la "schiavitù di amore" è, dunque, l'angelica e somma libertà con la quale la Madonna li aspetta sulla soglia del secolo XXI: sorridente, attraente, li invita nel suo regno, secondo la sua promessa a Fatima: "Infine, il mio Cuore Immacolato trionferà".
Vieni, caro ateo, convertiti e cammina con me, con tutti gli "schiavi d'amore" di Maria, verso questo regno di libertà sommamente ordinata, e di ordine sommamente libero, nel quale ti invita la Schiava del Signore, la Regina del Cielo.
E allontanati dalla soglia sulla quale c'è il demonio, come uno scheletro che ride in modo macabro, afferrando la falce della libertà sommamente schiavizzante, e della schiavitù sommamente libertaria. Cioè dell'anarchia.
(Plinio Corrêa de Oliveira - "Folha de S. Paulo", 20-9-1980)